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« L’arte mi ha avvicinato alla gastronomia. Almeno in parte. Nonostante io sia cresciuto in una famiglia di ristoratori, la grafica, il design, la moda, sono sempre stati tra le mie preferenze. Fino a quando il professore di disegno non mi ha consigliato di seguire un apprendistato come cuoco … Ero nel posto giusto. Mia moglie mi aiutò a superare l’ostacolo e a varcare la soglia: mi regalò La Grande Cuisine minceur di Michel Guérard, libro manifesto della Nouvelle Cuisine. La sua libertà, la sua creatività … Un lampo di genio. Una folgorazione, un percorso di formazione chiarissimo. Varie sostituzioni nelle dimore di mio padre e mio zio, diversi stage a Londra e Basilea, ed ecco qui. Segni premonitori di una cucina libera, in continuo movimento, alla costante ricerca di innovazione e creazione, perfetta per l’occhio e per il palato. La gastronomia come arte. Il cerchio si è chiuso.»
L’ambretta selvatica ha una radice che sa di chiodi di garofano, ma con un sapore più sottile. La si trova in natura, un po’ dappertutto dalle nostre parti, essenzialmente al limite dei boschi, ai bordi delle strade. Da quasi quindic’anni ne metto in tutti i fondi delle salse ma alcune volte la esalto in modo particolare. Ne faccio un infuso e la utilizzo come i chiodi di garofano. La si ritrova, per esempio, in uno dei miei piatti: il «Filetto di triglia con scaglie di taro e matelote di fegati aromatizzata con ambretta selvatica».